24 nov 2009

La preghiera è utile o dannosa? Può esistere una spiritualità senza la religione?

Ciao,
un amico mi ha inviato un commento ai due precedenti post. Lo incollo qui, inaugurando di fatto un nuovo argomento (molto interessante, direi). Se avete problemi nell'inserire commenti insistete, perchè tre miei amici ci sono riusciti (o scrivetemi su facebook, mi chiamo Luca Nuzzi).
Ringrazio tantissimo Christian per l'utile contributo, che implica profonda riflessione a 360° da parte mia. Avrei da ribattere (per esempio sarei subito tentato dal chiarire il termine 'misticismo', usato forse in modo inesatto) ma mi prendo - al solito - qualche giorno per rispondere; mi ci metterò su nel week-end probabilmente. Stavolta la questione sembra dunque più complessa ma molto interessante, ed impegna su più fronti. Per alcuni di voi potrebbe essere una sorpresa sapere cosa penso al riguardo... In ogni modo si esige davvero, da parte mia, un grande sforzo filosofico e grande dispendio di risorse emotive, intellettuali e didattiche per rispondere nella miglior maniera possibile. Cercherò comunque di farlo in maniera coincisa e chiara, rimandando però a testi ed autori ben più autorevoli di me (per chi volesse approfondire l'argomento, diciamo).

Intanto vi incollo qui il testo e attendo ansiosamente vostri commenti, anche per facilitarmi la focalizzazione di alcuni aspetti rispetto ad altri.


Articolo di Christian:

Volevo solo abozzare un paio di provocazioni relativamente a spiritualità e preghiera, che dici di considerare diversamente dalla religione.

Ma vi possono essere spiritualità e preghiera non corrotti dalla religione? Non è la religione presupposto per entrambe?

A mio avviso per essere immacolata la spiritualità dovrebbe essere slegata dal misticismo, in quanto ciò che è mistico esiste per fingere, traviare, nascondere la verità. È possibile una spiritualità demistificata? La si può chiamare con lo stesso nome? O forse si finirebbe per chiamarla razionalità, o parallelamente "sentimento morale"?

Che cosa salveresti della preghiera?
Il contatto col divino non è forse anch'esso traviante?
Chiedo a dio di aiutarmi in qualcosa perché?
Perché ci rinuncio, non credo in me. La preghiera è spesso una scusa per non provare nemmeno a fare qualcosa per risolvere un problema, diventa la giustificazione dello status quo, l'accettazione dei soprusi, la rinuncia a se stessi, negazione di sè, mortificazione di sè. Dio può, senza dio non posso far nulla, la libertà non esiste, il libero arbitrio non esiste perché non siamo nulla senza dio, quindi prego. Pregare diventa negare, pregare diventa abnegazione, limitare le proprie possibilità a possibilità subumane.

Se invece prego per cercare la vicinanza a dio, non prego forse perché rinuncio alla ricerca, aspettando una risposta dall'alto - risposta che poi non arriverà-? Si ripete similmente lo svuotamento di sè e lo svilimento dell'uomo, delle sue possibilità, dei suoi valori.

La spiritualità ha valore solo se secolarizzata, se si intende qualcosa che io chiamerei "sentimento morale"; diversamente porta al traviamento, al perdere la propria "anima" (mi si passi ugualmente il termine).

La preghiera non serve a migliorare la propria condizione e non serve a migliorare se stessi . E' invece indice di rinuncia a migliorare la propria condizione e di negazione dell'uomo.

-- Christian Paolo Piazza --

4 commenti:

  1. Breve commento da un non-filosofo, non-credente, forse non-ateo.
    Christian, la tua posizione provocatoria appare molto condivisibile, ma spinge per sua natura ad una visione estremista (o bianco o nero). Tutto si basa sull'assunto che spiritualità e preghiera non possono essere "puri" e quindi nulla é salvabile. Personalmente credo che la religione non sia un presupposto, é una struttura che si basa su preghiera e spiritualità tese ad una figura (un Dio). E' quindi una conseguenza, come tutte le strutture create dall'uomo. Detto ciò, spiritualità e preghiera preesistono forse nella natura uomana dal momento che l'uomo si pone, unico fra tutti, delle domande sulla sua esistenza. Alla domanda corrisponde il dubbio e la curiosità che ognuno cerca di colmare, con la spiritualità (la tendenza o la ricerca del divino/della risposta) e la preghiera (l'accettazione del divino/di una risposta). Ora, la ricerca dell'uomo può essere corrotta, e l'accettazione del divino traviante, ma siamo poi così sicuri che chi cerca la verità senza volersi nascondere poi riesca a trovarla? E dove? Nel dubbio o nella speranza? Inutile scomodare il cavallo di Nietsche e quel prete di Descartes.

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  2. Da un articolo arrivatomi da Christian Paolo Piazza:

    Ciao,
    vorrei postare quanto segue in coda al commento fatto al mio precedente post.
    Rispondo al commento di damnedeconomists precisando l'interpretazione del mio pensiero.
    Avevo preso in considerazione la questione della purezza di spiritualità e preghiera risolvendola tra le righe del mio post.
    Intendevo dire che la spiritualità potrebbe essere pura se la si intendesse come sentimento morale e la preghiera potrebbe essere pura se fosse ricerca di una risposta, di una soluzione. Al che, certo, mi si potrebbe rispondere che non salvo nulla nè della spiritualità nè della preghiera; tale risposta sarebbe una "scelta politica" (in senso lato): da parte mia salvo tutto un mondo di sentimenti morali e tensione alla verità.
    Mi sembra di capire che ritieni che l'idea di dio nasca dal senso di spiritualità e dalla preghiera. Non mi sembra però convincente che spiritualità e preghiera, intese come le si intende comunemente, siano "naturali". Dal punto di vista logico fila che da due concetti errati ne possa nascere uno errato e che da due concetti corretti ne possa nascere uno corretto. [Comunque esperimenti scientifici hanno constatato che persone nate e cresciute senza un orientamento religioso non sviluppano autonomamente l'idea di dio, che quindi è un "contenuto" culturale; ma questa è una citazione...].
    La "verità" non potrebbe essere una tensione alla verità? Ritenere di conoscere la verità "assoluta" porta ai dogmi e agli altri mali che genera la religione. La verità per me è in realtà ricerca, tensione alla verità; la religione dando delle risposte discutibilmente vere è una risposta comunque superata, per me decisamente insoddisfattiva (anzi irritante). La ricerca della verità è più soddisfattiva di una risposta "palesemente" falsa.
    Non vedo la religione come qualcosa di totalmente negativo, non sono un manicheista. Alcune religioni a mio parere possono avere un contenuto morale valido, ad esempio trovo stima verso alcune idee valdesi in confronto a quelle cattoliche; e comunque molte persone religiose sono degne di stima, non è che compiono solo azioni malvagie.

    Christian Paolo Piazza

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  3. Grazie, ottima risposta.
    Il mio professore di religione seppe dirci una cosa secondo me curiosa. La sua idea di religione (cattolica), ma penso valga anche per altre, era INCENTRATA sul dubbio dell'esistenza di Dio e quindi sulla ricerca (della verità, se vuoi). Credo sia l'unica cosa sensata che io abbia mai sentito pronunciare ad un cattolico.
    Mi piacerebbe avere la fonte degli esperimenti scientifici, che rivelerebbero un risultato molto interessante. Un analogia dalla dannata economia; nei modelli monetari gli economisti parlano di tasso naturale di interesse; ora questo tasso non si sa se esista veramente o sia semplicemente un costrutto teorico (un benchmark). Ma il fatto che si faccia un esperimento con 1000 persone e che si scopra che nessuna di queste sviluppa autonomamente l'idea del tasso di interesse naturale cosa ci dice sull'esistenza del tasso stesso? Nulla. Ma ci dice forse che l'economia é una religione.
    Saluti
    damnedeconomist

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  4. Da un articolo arrivatomi ancora da Christian Paolo Piazza:

    Mi sembra di capire che il tuo professore di religione più che cattolico fosse in realtà un agnostico; ma forse non se ne rendeva conto. In effetti molti si considerano cattolici senza aderire appieno alle idee della propria religione, il che, dal punto di vista della dottrina cattolica, non li rende cattolici. I cattolici sono molto puntigliosi sul determinare chi è cattolico e chi no. Il credente cattolico appartiene "tutto intero" alla chiesa, deve credere ai dogmi della chiesa, se no, non è cattolico.
    Non sono riuscito a trovare la pagina esatta dalla quale leggevo la citazione del precedente post, ma proveniva dal sito seguente: http://www.facebook.com/l/19e4e;lescienze.espresso.repubblica.it/
    Mi dispiace di non esser riuscito a trovare la fonte (avevo messo apposta la frase tra parentesi quadre).
    La tua analogia è perfettamente calzante: colse la mia attenzione l'articolo che non sono riuscito a ri-trovare proprio perché lasciava intendere che l'idea di dio non è "naturale" ovvero biologicamente prestampata nei cervelli delle persone, tesi che era sostenuta pubblicamente da alcuni prelati fin non molto tempo fa.

    Christian Paolo Piazza

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