24 feb 2010

Il coraggio di vivere il dubbio senza ricorrere alla credenza.

«… Di fronte ai grandi problemi mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me.
Ho sempre avuto un grande rispetto per i credenti, ma non sono un uomo di fede. La fede, quando non è un dono, è un’abitudine; quando non è né un dono né un’abitudine, deriva da una forte volontà di credere. Ma la volontà comincia dove la ragione finisce: io mi sono sinora arrestato prima. Mi è anche completamente estranea la fede nella ragione. Non ho mai avuto la tentazione di sostituire la Dea Ragione al Dio dei credenti. Per me, la nostra ragione non è un lume: è un lumicino. Ma non abbiamo altro per procedere nelle tenebre da cui siamo venuti alle tenebre verso le quali andiamo. Com’è nato l’universo? Come finirà? Che parte ha in esso l’uomo, questo essere che, a differenza di tutti gli altri esseri viventi che conosciamo, non solo è nel mondo ma s’interroga sul suo posto nel mondo, o, per usare il termine classico di tutta la nostra tradizione, sul suo destino che è per essenza “cieco”? Che è immerso nel male dell’universo, o almeno in quello che secondo il suo giudizio è male, e si pone la domanda, da quando ha cominciato a riflettere sulle cause e sui fini: “Perché il male?”, una domanda cui non è mai riuscito a dare una risposta convincente? Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che non vi è riuscita la scienza, e qui intendo per “scienza” il complesso delle conoscenze acquisite con l’uso della nostra intelligenza. Ma vi sono riuscite le religioni? Parlo di risposte convincenti, di cui questa stessa intelligenza si possa appagare, non di risposte consolatorie e quindi illusorie, che appagano l’animo di coloro che vogliono, disperatamente vogliono, per l’enormità e l’insopportabilità del male di cui soffrono, essere consolati. Al contrario del lumicino della ragione, la fede illumina, ma spesso, per troppo illuminare, acceca. Donde nascono, se non da questo accecamento, gli aspetti perversi della religione? L’intolleranza, la coazione a credere, la persecuzione dei non credenti, lo spirito di crociata? Non riprenderei questo vecchio argomento, tacendo il quale peraltro non si comprende la battaglia dei “lumi” così caratteristica del pensiero moderno, se non fosse che questo stesso argomento viene continuamente usato con la stessa partigianeria per imputare al processo di secolarizzazione tutte le perversioni del nostro secolo, come se l’età più cruenta prima delle due guerre mondiali non fosse stata quella delle guerre di religione».

(Elogio della mitezza e altri scritti morali, Linea d’ombra, Milano 1994, pp. 8, 187-188).

5 commenti:

  1. Mi ha scritto Elisa, una mia 'collega' di università. La ringrazio infinitamente e pubblico qui di seguito:

    io sono non-credente.
    e da non-credente confesso di sentirmi persa, spesso.
    perchè io non ho un dio che mi garantisce il Senso del tempo (e, anche se lo volessi, questo dio, il mio pensiero ha raggiunto un livello evolutivo che mi impedisce di credere che egli non sia un prodotto dell'uomo). e quindi sono senza Senso. e guardo a coloro che Credono Davvero con invidia. li ritengo comunque senza senso, dal mio esterno privo di appigli. però invidio la loro cecità. o la loro troppa luce.
    probabilemente sono una non-cedente atipica. sono consapevole che è possibile un'etica anche (forse sopratutto) senza fede.
    però io, che mi pongo (in maniera assolutamante malsana, lo so) alla fine dei tempi e che da laggù non vedo un giudizio universale, sprofondo nella più assoluta non-curanza per tutto ciò che accade. nella pratica scopro di vivere secondo un'etica che è come minimo accettabile, però in teoria non credo a Nulla.
    ora (saltando i quesiti forse inutili "è più importante la teoria o la pratica?", "è possibile una loro coincidenza?", "è davvero grave se non coincidono?") dico solo che il mio mondo da non credente è un buco nero. e non mi è più possibile tornare indietro.

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  2. Ciao Luca,

    anch'io sono un Non-Credente (sebbene la formula con la litote mi sembra limitare il mio essere, visto che si concretizza in Non-Essere), ma penso che il ragionamento deve portarci a conclusioni gnoseologiche di più ampia portata. Se fondiamo la nostra conoscenza sul dubbio, possiamo conoscere?
    E' possibile la scienza? Possiamo affidarci ciecamente all'esperienza? E che dire di coloro che vivono un'esperienza "alterata"(ciechi, sordi,daltonici)?
    Non credi che anche nel campo della conoscenza, la via ultima è sempre quella politica, della convenzione, della legge arbitraria?

    Stefano

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  3. Rispondo ad Elisa:
    condivido con te tutto, tranne la fuoriuscita "buco-nero". Certo, è plausibile la non-curanza, ma dovresti cercare di non dimenticare la potenzialità creativa (e creatrice) della nostra mente. Puoi darti "sane" illusioni: credere nella musica, per esempio; o in qualche buona bevuta; credere in uno sport che ti faccia star bene. Nulla di trascendente, ma qualcosa di immanente eppure molto, molto piacevole "epidermicamente", come dire.. sperimentalmente. Non credo in UN dio, ma credo nel dio-benessere, quello che mi spinge all'autoanalisi, alla liberazione dalle mie frustrazioni e all'aspirazione a qualcosa di piacevole. Il mio dio non mi impone nulla, ma mi suggerisce di camminare a piedi nudi sull'erba in Scozia; mi fa ascoltare i bending della chitarra di B.B. King e mi fa venire i brividi; mi fa passare una serata a bere insieme a persone con cui c'è ilarità e bonarietà. Questo è il mio mondo, talvolta buio ma talvolta no. Ed è un mondo in cui non ho la speranza di chi guarda "oltre", ma nemmeno ho il timore di chi teme un giudizio (universale o meno). Certo, anch'io invidio l'equilibrio di chi crede, ma continuo a non aderire a quel "partito" perchè il mio orgoglio e la mia curiosità mi spingono altrove. Mi diverte ed eccita l'idea di fare a meno di dio e trovare comunque delle fuoriuscite. Non per questo vivo in modo disperato (il "buco nero") o animalesco (autolesionistico, autodistruttivo, dionisiaco in modo insano e devastatorio).
    Come uso dire spesso: la vita è un'immensa farsa, cui peraltro non abbiamo scelto di partecipare, e spesso indossiamo costumi che altri hanno scelto per noi. E di questa farse puoi estremamente piangere; o altrettanto estremamente ridere.
    Allora un suggerimento: gioca con la mente, prenditi in giro, e fà sì che nulla abbia importanza e rilevanza quando ti trovi difronte a delusioni inspiegabili; quando sarai messa di fronte al fatto che un tuo genitore o un tuo amico non c'è più; quando la vita ti giudicherà; quando la gente spettegolerà; eccetera. Allo stesso modo, sappi ridere del non-senso, sappi ironizzare della presunta consapevolezza di chi SA e CREDE; di chi si fa beffe del tuo smarrimento e di chi invidi così tanto. Tanto poi, stanne certa, le risposte non le hannp neanche loro. Con una sottile differenza: quando anche loro si accorgeranno, in vecchiaia, del profondo non-senso, si troveranno vecchi, smarriti e supplichevoli. Tu invece, dondolandoti su una sedia e preparata da sempre al "peggio" (il non-senso) avrai, da decenni, imparato a riderne, ad affrontarlo, a batterlo con tante piacevoli illusioni. COn tanti "magic moments" tutti tuoi e tutti piacevolmente fittizi. Impara a fare epochè, e l'avrai vinta tu sulla vita, sulla nostra miserabile finitezza.
    Un abbraccio da chi sa perfettamente cosa intendi.

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  4. Rispondo a luigi tassoni:

    Intravedo nel tuo intervento 3 momenti distinti, perciò li spezzo e ti rispondo.

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    Mi chiedi: "Se fondiamo la nostra conoscenza sul dubbio, possiamo conoscere?
    E' possibile la scienza?". Rispondo: è possibile nonostante il dubbio, anzi proprio GRAZIE ad esso. Ogni passo in avanti della scienza si deve qualche volta a botte di c..., ovvero coincidenze, accidenti, fraintendimenti e conseguenti scoperte inaspettate e meravigliose (mi viene in mente la penicillina, o comunque alcune scoperte della chimica e della fisica. Il secondo aspetto che porta alla scoperta scientifica (e alla speculazione) è la MERAVIGLIA, un sentimento a metà tra la curiosità infantile, mai sopita, e la tensione erotica (in senso platonico). In questo senso, scienziati e filosofi sono assolutamente accostabili. Terzo e ultimo aspetto, sarebbe proprio il DUBBIO: quella fiaccola "anarchica" della mente, che non si accontenta mai di risposte e sperimenta, prova, rivoluziona, riprova, estrae, ridiscute, esige... insomma: dubita, in qualche maniera. Se non dubitasse non cerceherebbe: il politologo per es DUBITA che l'orientamento della scelta politica attuale sia imputabile SOLO a un fattore (es: la propaganda mediatica), e ne cerca altri a complemento (SCOPRENDO che c'entra anche, che ne so, la corruzione piuttosto che la disinformazione o qualcos altro ancora). Oppure Galileo quando DUBITA che, in assenza d'attrito, i corpi si comportino allo stesso modo. E così via, sono convinto esistano una serie di esempi validi per suffragare questa idea.
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    "Possiamo affidarci ciecamente all'esperienza?". Riguardo a questo: credo sempre che l'esperienza, in un certo qual modo, non menta. Mi spiego: l'efficacia di una teoria politica implica una certa concezione dell'uomo (diritti umani; diritto alla proprietà privata; al riposo dal lavoro; ecc). Se questa visione è corretta o meno, lo dice l'esperienza. Il problema è che poi una serie di fattori vanno tenuti in considerazione e il riscontro 'empirico' esige i piedi di piombo (ciò che sembra SUBITO positivo ed encomiabile alla lunga può rivelarsi dannosissimo e controproducente per la quasi totalità della popolazione). Affidarsi alla sola esperienza, dunque, è cosa buona e giusta, è ciò che di più vicino abbiamo alla verità... eppure non basta, poichè se è vero che l'esperienza (il risultato, l'evidenza) può essere specchio di riscontro della validità di un'idea, allo stesso modo l'idea può (a monte) influenzare l'esperienza. Sto studiando in questi giorni l'ipotesi della Nussbaum, la cui teoria cognitiva neostoica sostiene che puoi "manipolare", "riassestare", "valorizzare" (o mitigare) alcune emozioni semplicemente cercando di ritoccare lucidamente il tuo assetto mentale: a monte abbiamo le nostre credenze, i nostri valori, le nostre convinzioni (ereditate culturalmente, per lo più), implicano (a valle e a cascata) tutta una serie di emozioni. Per cui, secondo quest'idea, l'elaborazione razionale e pre-pratica può influenzare e indirizzare l'esperienza che, ripeto, resta il maggior feedback.
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  5. ----------[3]------------------------------------
    "E che dire di coloro che vivono un'esperienza "alterata"(ciechi, sordi,daltonici)?". Certo che considero anche e soprattutto costoro. Dall'anomalia spesso arriva lo stimolo maggiore, l'invito all'alternativa e alla complessità. Chi ha un senso "in meno" può farci notare la possibilità (e la grandezza) umana di poter vivere senza ciò che spesso viene reputato necessario. Se dai poveri impariamo l'essenzialità, dai ciechi impariamo la "profumatezza" e la "calorosità" delle cose; grazie a un sordo immaginiamo l'enormità del dono della vista; e grazie a un muto impariamo il saper ascoltare. Nessuno dei sensi è essenziale e praticamente sono tutti sostituibili, ma tutti sono a loro modo preziosi.
    Ma vengo al punto: chi ha un 'deficit' elabora un CODICE differente, assolutamente arbitrario ed altrettanto efficace. Anzi, forse ANCOR più efficace del solito. E vengo all'ultima questione: "Non credi che anche nel campo della conoscenza, la via ultima è sempre quella politica, della convenzione, della legge arbitraria?". Certo che lo credo. Sebbene ci siano fattori indubitabili e irrevocabili (a meno di psicosi e deviazioni, è impensabile che un uomo aspiri alla schiavitù, o allo stress, o alla paura, o alla costrizione), credo che per il resto la "società non esista" (come dice Laclau). La realtà (la società, ma anche gli affetti, il bene, il male, ecc) sono ontologicamente vacanti. Non c'è una meridiana di nessun tipo, a parte la costituzione psicofisica basilare. Eppure anche lì, lo spirito di sacrificio che porta al martirio in nome di valori sembrerebbe essere contro-natura (letteralmente: compromette l'esistenza, e questa è una peculiarità tutta umana). Tuttavia qualcuno obietterebbe che pure questa scelta anti-incolumità propria, in realtà si spiegherebbe alla luce di un sentimento di protezione della comunità (del gruppo animale di appartenenza... dunque una spiegazione più biologica che mai!). Tornando a noi, dunque, credo proprio che sia l'arbitrio, di epoca in epoca a stabilre cosa è bene e cosa è male e... udite udite, ciò comporterà la relativa gamma emotiva: per cui esperirò un brivido di piacere per cose che oggi reputiamo orrende (in Grecia la pederastia/pedofilia era non solo tollerata ma addirittura auspicata dai genitori dei ragazzi), oppure non tollererò cose assolutamente scontate (il diritto di voto alle donne, ecc).
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    Quindi, concludendo, il gioco è un equilibrio tra la cieca fede in qualcosa (che porta al dogma, sia esso scientifico che religioso o politico); mentre dall'altra dobbiamo rifuggire lo spaesamento più totale (il nichilismo estremo, l'assoluto dubbio scettico che ha tormentato molti filosofi, secondo cui sarebbe vano procedere nell'indagine e ridicolo cercare di completare la tela di Penelope).
    Un buon credente allora saprà sporgersi sul dubbio e adeguare la dottrina; così come il buon ateo/agnostico/scettico saprà mutuare aspetti della fede.
    Ciò potrebbe produrre, alla lunga, una religione davvero tale e salvifica; una politica funzionale al benessere della più larga parte dell'umanità; una scienza (e una tecnologia) davvero evolute e al servizio dell'uomo (tornando a esser mosse da autentica meraviglia e tese al benessere dell'umanità).

    Per tutto il resto, purtroppo... c'è Mastercard. Nel senso che, finchè siamo nell'epoca del capitalismo, questi problemi non si pongono. Incagliati come siamo tra falsi bisogni e strategie mondiali (religiose/politiche/economiche/sociali) su cui non abbiamo ancora alcun influsso. Ma questa è un'altra storia...

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