24 feb 2010

Vivere il senso del 'mistero'. Differenza tra religione e religiosità.

Quest'altro passaggio di Bobbio ben esprime ciò che sostengo da tempo, ovvero un punto di contatto tra credenti e non credenti: il senso del mistero e l'umiltà che impone tanto al credente, quanto all'ateo e al credente.

«Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità.



Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione – perché non lo ripeterò mai abbastanza: non sono un uomo di fede, avere la fede è qualcosa che appartiene a un mondo che non è il mio – è semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all’uomo di ragione che all’uomo di fede. Con la differenza che l’uomo di fede riempie questo mistero con rivelazioni e verità che vengono dall’alto, e di cui non riesco a convincermi […] Ma quando sento di essere arrivato alla fine della vita senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata – e umiliata. So di non sapere. Questo io chiamo “la mia religiosità”.



[…]Io non credo […] Anch’io sono cresciuto, come quasi tutti in questo paese, in una famiglia cattolica, e ho avuto una formazione cattolica. Preghiere, preghiere, preghiere… Le ho talmente ripetute (sia in latino, come si usava una volta, sia in italiano) che le ho quasi dimenticate. Ho fatto la prima comunione, e anche un matrimonio religioso (anche mia moglie però non è credente).
E alla domanda su quando e perché ho perduto la fede non è facile rispondere. Forse verso i vent’anni. Certo, lo studio della filosofia, anche. Tutte queste domande sui problemi di metafisica, diciamo così, e il rendersi conto che le risposte della fede implicavano credenze difficili da accettare.



La credenza nei miracoli, ad esempio, per un razionalista è la cosa più assurda. Altrettanto è il dover credere in ciò che ad ogni essere di ragione appare come mito, cominciando dal peccato originale […] Ho continuato a riflettere sui grandi temi dell’esistenza e nessuna delle risposte della religione mi ha mai convinto […] La scienza qualche progresso lo ha fatto. La fede non risponde alle domande, può solo evitarle. Questo è il suo vantaggio e la sua debolezza, almeno di fronte alle persone che ritengono che l’unico lume legittimo – per quanto piccolo – con cui possiamo dire sì o no, vero o falso, è la ragione. E l’esperienza. La ragione e l’esperienza sono i due lumi dell’uomo così come è. La religione è una creazione umana»

(«Religione e religiosità», testimonianza apparsa su MicroMega n. 2/2000, pp. 7-10).

2 commenti:

  1. Ti lascio un commento, dato che ritengo Bobbio una delle ultime grandi menti che abbiano calcato l'italico suolo.
    E' assolutamente vero che la religiosità va distinta dalla religione, e che il suo senso profondo stia nel mistero, cioè nell' "invisibile", ciò che non si lascia analizzare dal lume della ragione. Si tratta di un profondo senso dei limiti propri della natura umana, che, volenti o nolenti, la vita ci dimostra quotidianamente. Solo un superuomo - direbbe un Nietzsche - può tentare di vivere escludendo il mistero, cioè tentando di "autotrascendersi" (perdona il tecnicismo), di superare da sé il limite invalicabile dell'essere finito e limitato entro i confini di una vita mortale.
    Altro discorso è quello della fede, intesa come il credere ad un dogma che sembra darsi all'uomo come una legge. Legge alla quale non si può che credere: non abbiamo evidenze o prove che la giustifichino, ogni tentativo di fondarla su base razionale sembra destinato alla contraddizione e al paradosso, nel migliore dei casi al dubbio dello scettico. Ma sta qui il senso della fede nel dogma, secondo me: se fosse una verità certa, non avrebbe bisogno di essere creduta, sarebbe semplicemente "reale", davanti agli occhi, visibile. Non ci sarebbe più il mistero. La fede non è certezza, è correre verso l'abisso bendati. E certamente, qui, ognuno ha il diritto di non intraprendere questo percorso, di scegliere un pio e devoto rispetto di fronte al subilme del mondo, a ciò che ci manifesta la nostra miseria, senza lanciarsi (letteralmente) verso un Dio creatore che dia senso a questa miseria.

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  2. Ma il credente ha il dovere, secondo me, di non confondere la religione con la religiosità: laddove la religione è solo "forma", il modo in cui ci si rapporta alla "sostanza", a ciò che le è proprio, il mistero stesso. Ogni religione cerca la "strada verso Dio", il modo migliore per comprendere il mistero. Ogni uomo, sarei tentato di dire. Ma anche in questo c'è una differenza: credere in Dio, in primo luogo, è credere che Dio sia nella storia, con la minuscola, cioè nella storia personale di ogni uomo. Ciò perchè il senso profondo della fede non può che essere nel nostro rapporto a Dio. Eppure c'è di più: credere nell'unica "rivelazione", quella di Dio all'uomo, non è un dogma rigido, una "proposizione dottrinale", una "forma". E' credere che Dio possa essersi e si sia manifestato all'uomo (nella Storia, con la maiuscola, per la religione, e nella storia personale, per la religiosità). Come si sia manifestato, allora, è un problema della teologia, quasi di secondaria importanza. Il mistero ci parla - questa è la fede - ci testimonia la sua esistenza, e la testimonia con un messaggio di speranza e di monito: ci spinge ad essere uomini, responsabili di noi stessi, artefici del Bene (qualunque esso sia), e nello stesso tempo ci dà la speranza che questa sia l'essenza del mondo, nonostante le numerose prove contrarie davanti ai nostri occhi.
    Certamente, questo sembra che porti ad evitare le domande, ad accomodarsi su facili verità piuttosto che a tentare di dare una risposta, seppur parziale. Ma questo perchè, come dice giustamente Bobbio, la ragione è l'unico lume naturale. Probabilmente, però, la ragione è solo uno strumento, mentre l'uomo non è soltanto colui che si serve della ragione per indagare la verità. Non posso evitare di richiamarmi a Pascal: il cuore, che non è governato nè dalla ragione, nè dall'esperienza, nè dall'uomo naturale (non è solo istinto o pulsione, non è semplice animalità), è l'unico fondamento possibile della fede. E sia pure che la religione è creazione umana: ma l'uomo non si conosce pienamente. Ciò che crea non si esaurisce sempre nella sua funzione, come l'ogetto di un artigiano. Finchè sarà possibile concepire un oltre, in qualsiasi attività umana, allora ci sarà posto per un Dio. Ma se quest'oltre scomparisse, forse, l'uomo non sarebbe più uomo, sarebbe qualcos'altro.
    Un saluto,
    Vittorio.

    PS: sono andato un pò lungo e ho dovuto spezzare in due commenti.

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